Nello scorso numero ci eravamo dati/e appuntamento in primavera. Evidentemente, non siamo riuscite a rispettare tale programma; riteniamo che gli eventi che hanno fatto slittare l’uscita del secondo numero di MeM meritino di essere brevemente raccontati.
Alcune di noi si sono trovate a dover affrontare, e con urgenza, la terribile situazione in cui si sono venuti a trovare parecchi gatti, già appartenenti ad una colonia felina ormai in stato di abbandono: le malattie ormai endemiche, la malnutrizione, le aggressioni, spesso istigate, da parte dei cani; e soprattutto le gatte, ridotte alla «naturalità» del loro essere femmine, costrette a partorire gattini che spariscono nel nulla – sia questo per incuria, per folle teoria o addirittura criminoso programma economico, resta ad oggi una congettura.
Nel contesto di degrado sociale e umano, di fronte alla latitanza e poi all’ostinata volontà di non vedere da parte delle istituzioni che dovrebbero tutelare la vita degli animali, infine constatata l’inerzia delle associazioni protezionistiche, evidentemente poco interessate a questa piccola storia ignobile, ci si è posta una scelta: limitarsi a segnalare i fatti a chi avrebbe tempi e strumenti idonei per risolvere simili situazioni, sapendo che, nella migliore delle ipotesi, i tempi sarebbero stati lunghissimi, o tentare di risolvere i casi più urgenti, quelli in cui ne va della vita, continuando a far pressione sulle istituzioni. Quali le priorità? Come fare il meglio per ciascun individuo? Come tenere in conto tutti i fattori che in gran parte sfuggono alle teorie sulla liberazione degli animali, quali: la disponibilità di tempo ed energia; le risorse materiali ed emotive, che non sono infinite; l’incompatibilità con altre priorità esistenziali; i conflitti tra i vari interessi dei coinvolti…?
Senza stare troppo a riflettere abbiamo preso una decisione; di conseguenza, Musi e Muse si aggira sul web in estate, mentre Matilde, Uri, Mimì e molti altri giocano a rincorrersi sereni.
Questa piccola storia ignobile, che appare forse troppo ordinaria per essere presa in considerazione, ci sollecita invece a domandarci: che cosa significa e implica «prendersi cura» di qualcuno? Di certo, come sostiene Joan Tronto, si tratta di situazioni che non sono mai prive di conflittualità e che ci indicano la necessità di ridefinire i nostri confini morali.
«Incoraggiare la consapevolezza attraverso la narrazione di storie» è quanto si propone Dianne Romain in questa comunicazione in occasione di un convegno della Society for the Study of Ethics and Animals, tenutosi ad Atlanta nel 1989, che qui proponiamo per la pertinenza delle domanda che si pone, e che restano in gran parte tuttora aperte. In che senso il concetto di oppressione può essere applicato agli animali? E che articolazione ha con la domesticazione, che comporta certo sopraffazione e limiti, ma permette anche relazioni di attenzione e rispetto reciproci? Relazioni che nel momento in cui non si caratterizzano più per un vantaggio a senso unico implicano anche costi personali, impegno e responsabilità («penso di poter convivere con l’odore del Grigio» si risponde in conclusione Romain, riportando alla concretezza una problematica che rischierebbe di volgere in mera retorica).
La riflessione sulla reciprocità del care e sul ruolo che questa esercita nell’assegnare valore intrinseco e status agli animali, umani e non, sarebbe ingenua, se non si legasse sempre alla problematizzazione delle potenzialità e dei limiti di un approccio prossimale e «da vicino» alla comprensione delle dinamiche di altre specie: il fatto che i carnefici spesso siano figure molto vicine alle loro vittime ne garantisce sicuramente un certo tipo di conoscenza, ma questa non è mai fenomeno imparziale, neutro, fuori da parametri morali.
La questione dell’inclusione del punto di vista animale nelle nostre scelte etiche ritorna in modo pressante nell’articolo di Josephine Donovan tradotto in questo numero, articolo comparso nella seconda parte della raccolta The Feminist Care Tradition in Animal Ethics, un testo fondamentale per l’elaborazione della teoria del care relativamente alla questione animale. Come cogliere e far valere le soggettività animali evitando che «la nostra prigione linguistica» porti a sovradeterminare le alterità in nome delle quali si vorrebbe parlare – nucleo eternamente irrisolto di ogni teoria rivoluzionaria o «avanguardia intellettuale»? L’etica dialogica del care viene proposta da Donovan come in grado di non essenzializzare i soggetti animali in una categoria, «gli oppressi», costituendo d’altra parte un punto di contatto concreto che permette ai bisogni, ma anche ai desideri delle soggettività animali, di emergere come agenti, cioè con domande ed interessi propri, non solo come recettori passivi di interrogazioni e protezione loro rivolti.
L’etica del care, come proposta da Donovan in accordo con l’elaborazione che ne ha dato Tronto, implica di per sé una prospettiva politica, è uno strumento per l’analisi politica, se intendiamo l’empatia non solo come un’esperienza immediata e spontanea, ma come qualcosa che deve essere appreso tramite una messa in discussione delle razionalizzazioni ideologiche, imparando a leggere in esse delle relazioni di potere. Se insomma l’esperienza del care configura un rapporto non unilaterale da parte di un soggetto privilegiato, ma una condivisione, allora la prospettiva politica, che porta ad interrogarsi sul «chi» dell’azione responsabile della sofferenza altrui e che sfocia in azione, è una conseguenza di tale esperienza, non qualcosa che la integra dall’esterno. Questo nesso fra esperienza empatica e prospettiva ed azione politica, tra relazionalità e potere, resta un nodo centrale della teoria del care, su cui bisognerà tornare a riflettere.
Delle ratte meno apocalittiche dell’interlocutrice di Grass portano Francesca de Matteis ad interrogarsi sulla loro convivenza, sui possibili fraintendimenti e sovrapposizioni di schemi nel loro rapporto, sulla necessità di imparare a comunicare con loro ponendo attenzione alle loro risposte.
L’articolo di Rossella Traversa parte dalla disamina dei vari significati che riveste ciò che chiamiamo «male», ponendo in evidenza come la scissione fra una sfera puramente interiore ed empatica e la sfera pubblica e relazionale, costituisca una precondizione che spesso ritroviamo quando si verificano episodi di atrocità collettiva. Questi non si verificano in una situazione di sospensione della morale, non si tratta di uno stato di eccezionalità astorica dove emergono emotività «naturali»; al contrario, si rendono possibili quando i persecutori si identificano con una comunità morale che esclude altri soggetti, variamente determinati, dalla considerazione etica, relegando in pari tempo le relazioni concrete e i sentimenti individuali al rango di ostacoli. L’attenzione all’ordinario contatto relazionale, come descritto nell’analisi fenomenografica di Vicart, che Traversa qui riporta, permettono di definire una «soggettività incarnata», non puramente interiore, ma sempre in contatto con l’altro. Tale relazionalità non riguarda solo il bisogno e la sfera dell’accudimento, ma anche quella della piacevolezza e del desiderio. Una soggettività così intesa mette in luce degli aspetti di produttività e creatività dei rapporti, un «regime di potere intensivo» non assimilabile all’etica dei diritti e alla concezione repressiva del potere.
Infine, la recensione da parte di Michela Pezzarini di Beasts of the Southern Wild, un film che ha riscosso grande consenso internazionale, pone in luce quanto lo schema oppositivo natura selvaggia-cultura artificiale sia ancora dominante nella nostra cultura, e quanti sottintesi elementi di svalutazione e oppressione porti con se l’ideologia delle «leggi di natura». Una natura pensata tradizionalmente come legge del più forte, dove per sopravvivere bisogna essere corazzati e combattivi, «maschi», secondo un altro luogo comune. All’inizio del ventunesimo secolo, si chiede Pezzarini, abbiamo ancora bisogno di storie di uomini che sono uomini, donne che sono sguattere o principesse, e… animali che sono carne?
Buona lettura!